L’acqua la insegna la sete. La gestione di una risorsa a rischio

L’acqua la insegna la sete. La gestione di una risorsa a rischio

L’acqua la insegna la sete. La sete della pianura è la fame della montagna. La prospettiva metromontagna

 

L’acqua la insegna la sete, come sostiene un verso illuminante della Dickinson. Il cambiamento climatico e le esigenze di disporre di grandi quantità d’acqua a fini agricoli ed industriali rende la risorsa progressivamente vulnerabile e disponibile in misura assai ridotta rispetto al passato. Se la pianura ha sete, la fame della montagna si concentra nel preservare il patrimonio idrico, difendere la qualità delle sue fonti da attenzioni tanto magnetiche quanto necessarie alla vita di altri sistemi. Per governare il processo di tutela delle fonti ed utilizzo equilbrato dell’acqua serve rispetto, recioprocità e condivisione tra le parti – montagna e pianutra appunto – attraverso la stipula di un accordo metromontano, nella consapevolezza che è ai margini che si determina il destino del centro.


Emily Dickinson ci illumina attraverso un verso tanto sintetico quanto efficace di una sua poesia del 1859: “L’acqua la insegna la sete”. Più ancora dei rapporti scientifici indipendenti dell’Ipcc (Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici), dell’Istat (Istituto nazionale di statistica), dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e dell’Arpa (Agenzia regionale perla protezione dell’ambiente), che nessuno legge, tantomeno i decisori.
Inverni progressivamente con minore neve, piovosità assente da tempo, abbassamento delle falde e della disponibilità di acqua nei bacini (si stima una perdita per evaporazione di 10.000 m3/a di acqua per ogni ha. di superficie), consistente approvvigionamento idrico della manifattura rappresentano alcuni fattori che determinano la scarsità di acqua. Hanno sete i campi, le coltivazioni, gli animali, e un po’anche noi.
Come osservano gli studiosi, “la crisi ecologica cambia le geografie”. In altre parole, “la sete della pianura è la fame della montagna”.
Ma sete degli uni e fame degli altri non pare far riflettere i decisori sulla necessità di affrontare la complessità dell’argomento mettendo in atto misure e azioni integrate in grado di determinare corrette gestioni dei patrimoni.
È sufficiente riferirsi al Progetto del Consorzio di Bonifica Pianura Friulana per la costruzione di una condotta di collegamento tra il “Canale Sade” e il sistema derivatorio Ledra-Tagliamento per il recupero parziale della portata di scarico della centrale di Somplago. Un progetto che in un colpo solo non tiene conto del parere IV Commissione del Consiglio regionale relativo alla tutela del Lago di Cavazzo (gennaio 2014), del Piano regionale di tutela delle acque (D.p.r n. 74/2018) e della Legge regionale n. 13 del 6 agosto 2019 in tema di energia e ambiente. Nell’insieme, rappresentano atti che sollecitano a valutare l’adozione di soluzioni progettuali tali da mitigare gli impatti determinati dagli scarichi della centrale di Somplago, recuperare le condizioni di naturalità del lago, preservare la disponibilità e qualità delle acque.

 

Lago di Cavazzo con il fango che si dilata

Lago di Cavazzo completamente intorbidito

 

Non solo. Su questa vicenda si innesta l’assenza di lungimiranza degli 84 Comuni della pianura che, per il tramite dell’Anci, cioè dell’associazione che unisce i 215 Comuni del Friuli Venezia Giulia, si propongono di deliberare l’assenso al progetto proposto dal Consorzio poiché si tratta di “un’opera importante e tanto attesa da gran parte del territorio”.
Sete, della pianura, contro fame, della montagna: due registri, due entità che nessuno intende mettere in connessione specie di fronte alle trasformazioni radicali come il cambiamento climatico destinate a condizionare tutti: luoghi, persone, coltivazioni, animali, industrie che siano, di pianura o di montagna. Comuni del basso contro i Comuni dell’alto anche nella gestione della sete a dimostrazione che è vivo il tarlo delle iniquità nella fruizione concreta dei diritti che si identificano nella reale disponibilità di risorse e beni comuni.
Eppure la teoria della produzione e gestione dei servizi ecosistemici (paesaggio, biodiversità, assetto idrogeologico, acqua, energia, bosco, agricoltura) richiede integrazione ed alleanze tra le parti attraverso la costruzione di nuove relazioni reciproche ed una comune piattaforma territoriale che porti a sintesi rapporti ora problematici e superi autonome rappresentazioni sapendo generare e distribuire valore.
Qui, da noi, non è nemmeno all’orizzonte simile ipotesi diversamente da altre parti, nell’arco alpino come in Europa, dove si è alla ricerca di forme e approcci di governance per affrontare assieme gli impatti e organizzare le risorse.
Per governare la complessità data dai fenomeni in atto, gestire le metamorfosi – urbane e delle Terre Alte – ed i servizi ecosistemici serve una proposta metromontana. Attorno questo “quasi – concetto” se ne è discusso ad Innovalp Day solo qualche tempo fa alla ricerca di riannodare i fili tra pianura e montagna e nel tentativo di catalizzare interessi differenti superando la dialettica “centro-periferia” e “alto – basso”.
Vi è la necessità, appunto, di affermare un “nuovo policentrismo” capace di affrontare i futuri possibili e le questioni del presente sulla base di un approccio multiscalare, dove i confini amministrativi ed il discorso pubblico meramente urbano non hanno più senso e dove è invece fondamentale affermare le interdipendenze considerato che proprio la montagna produce e gestisce servizi ecosistemici fondamentali per le stesse sorti delle città e della pianura che li richiedono per la loro stessa esistenza.
Gli ambiti da dove iniziare non mancano: dell’acqua si è detto; l’altro progetto -bandiera è il Tagliamento che esprime l’urgenza del governo delle complementarietà e delle risorse e, non sfugge, la responsabilità di recuperare le “fratture” che si sono generate nel corso del tempo tra le diverse componenti dislocate lungo il suo corso.
Non è inutile suggerire al Consorzio di Bonifica della Bassa friulana, all’Anci e ai Comuni di pianura, come ad ogni altro soggetto pubblico ed agenzia, di concorrere alla prospettiva di riunire sotto un unico sguardo territoriale contesti che non possono essere più alternativi e conflittuali; di superare la consuetudine, come emerge dagli ultimi atti, di pensare all’economia e alla società “con la montagna alle spalle” e con sguardi speranzosi rivolti a città e pianura.
Appare del tutto naturale che del nuovo modello di relazioni strategiche – metromontagna appunto – si faccia carico la programmazione regionale che lo può configurare sul piano teorico, tecnico e finanziario nell’ambito di una condivisa visione organica del futuro del Friuli Venezia Giulia dove le diverse componenti territoriali, proprio perché strutturalmente integrate tra loro, possono produrre vantaggi reciproci.

Maurizio Ionico
urbanista, ricercatore

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