Friuli: Il carretto di Franz. Incontro in Val Canale
Un racconto breve di Giuseppe Mariuz, una di quelle coincidenze di “sentiero” che riportano indietro nel tempo e fanno riflettere sul carattere e le strade della gente di montagna…
Malga Priu è un bel balcone sulla Val Canale. In quegli anni di fine secolo, lasciavi la macchina a fondovalle e in trecento metri di dislivello e tre quarti d’ora di cammino ci arrivavi agevolmente attraverso un sentiero largo e ombreggiato. Quel giorno di ferragosto faceva caldo e la piccola Cecilia di due anni, inaspettato fiore nato quando già papà e mamma erano ben maturi, aveva trovato più comodo salire sulle mie spalle piuttosto che muovere i suoi passetti. Il più grandicello Emilio aveva invece tanta voglia di scantonare nel bosco e doveva essere tenuto per mano dalla mamma per poter arrivare a destinazione a ora di pranzo. Sapevamo che la malga aveva un’ottima cucina, con un menu essenziale e sapori nostrani. Delizioso in particolare il succo di sambuco.
All’arrivo, riuscimmo a trovare libero l’ultimo tavolo. Eravamo appena seduti quando dal sentiero sbucò sull’ampio prato un gippone, che oggi chiamano suv, con tre persone a bordo. Alla guida c’era un signore robusto e sicuro di sé, circa della mia età; al suo fianco sedeva una signora anziana e minuta che sprizzava simpatia al primo sguardo e scese tutta soddisfatta. Da dietro uscì con eleganza una donna distinta di mezza età. Va detto che il sentiero era da tempo vietato al traffico automobilistico, salvo chi aveva il permesso per fini forestali o per trasporto persone disabili. La vecchietta mostrava un’aria arzilla da montanara per nulla fragile.
I tre passeggeri del suv si guardarono con sconforto osservando che i posti erano tutti occupati. Noi gli facemmo segno che ci potevamo stringere e farli sedere con noi sulla panca. In montagna ci si deve adattare. Ringraziarono vivamente, si sedettero e intavolarono subito una conversazione. A dire il vero fu l’anziana signora, di nome Maria, che aprì le presentazioni con evidente fierezza di madre. Era lì col figlio Francesco appena arrivato dal Lussemburgo e con la figlia, che lavorava in un elegante negozio di abbigliamento di Tarvisio dove infatti l’avevamo vista in precedenza. Poi spiegò che Francesco era venuto a trovarla da solo, come faceva spesso e per periodi molto brevi, appena due o massimo tre giorni, perché l’attività non poteva subire interruzioni e nel frattempo la lasciava gestire a sua moglie e ai suoi due giovani figli. Aveva comunque acquistato vicino a lei una casa per le vacanze e le visite. Vedeva la nuora lussemburghese e i nipoti raramente, aggiunse, ma assicurò che Francesco era ben sistemato da tutti i punti di vista, economico e sentimentale. Poi passò in rassegna la vita della figlia, pure appagante, e infine raccontò di se stessa, dei suoi novant’anni, della vita dura delle donne di montagna di un tempo, delle tragedie vissute in Carnia durante la prima e la seconda guerra mondiale, del lavoro del marito e della sua prematura morte.
Il suo lungo racconto, che proseguì durante tutto il pasto e che a tratti seguii vagamente, ad un certo punto aprì uno spiraglio nei miei ricordi d’infanzia. Maria si dilungò a magnificare la ditta di trasporti lussemburghese di Francesco coi suoi venti camion, poi risalì alle origini della passione del figlio, quando da ragazzino si era industriato a costruire, con l’aiuto di uno zio meccanico, un carrettino per trasportare le valigie dei villeggianti estivi. Raggiunti i sedici anni, era partito per cercare fortuna all’estero. Proprio in quel suo paese io a metà anni Cinquanta andavo in vacanza, con una numerosa compagnia di parenti e amici. Restavamo in montagna un intero mese. Io mi aggregavo a una mia zia maestra e a sua figlia, perché i miei genitori non avrebbero potuto fare così lunghe vacanze, anzi nemmeno corte, salvo le domeniche.
Quando scendevamo dalla corriera con le valigie di cartone e numerosi pacchi, trovavamo ad aspettarci un ragazzo, a occhio dell’età di un paio d’anni più di me, che con un carrettino si offriva di portare i bagagli a destinazione. Non ci pareva vero liberarci dei pesi, e i grandi lo compensavano con delle buone mance. Poco prima dell’arrivo c’era una salitina e io e mio cugino Sergio lo aiutavamo a spingere il carretto. Ogni giorno, agli orari delle corriere in arrivo da Udine, potevi trovare quel ragazzo, che si faceva chiamare Franz, in attesa sul piazzale di arrivo. A volte, negli orari in cui era libero, gli chiedevamo di giocare con noi; lui accettava e si intratteneva un po’, ma ci trattava da pivellini viziati e aveva l’aria di pensare a cose più serie.
Ebbi un’illuminazione. Fissai i suoi lineamenti mentre gustava uno strudel di mele e gli chiesi di botto: “Ma tu, setu Franz? Jo i soi Bepino, t’impensitu di me?”.
Bisogna precisare che fino a quel momento la conversazione si era svolta in italiano. Per esperienza sapevo che se ti rivolgi nel friulano della pianura a un carnico, quello ti risponde con sufficienza in italiano, a meno che tu non abbia bevuto prima con lui almeno cinque bicchieri di vino. Ritengono di essere detentori della genuinità della lingua e probabilmente è vero. Ma tra bambini è diverso. Nelle vacanze di quegli anni ognuno parlava il suo dialetto a avevamo accolto nella nostra combriccola perfino un triestino, Franco, che se la cavava a capirci e farsi capire. Il tutto senza l’ausilio dell’italiano scolastico. Quanto a me, anch’io mischiavo forme linguistiche improbabili, perché in casa mia, con papà e mamma originari da due comuni diversi, si parlava come lingua franca il dialetto veneto sanvitese; il friulano lo avevo imparato in strada coi coetanei, peraltro in due diverse varianti essendomi trasferito da un paese all’altro a nove anni.
Francesco mi squadrò, indagò nella sua memoria, mormorò più volte tra sé Bepino, poi aggiunse: “e Sergio, e Franco?”
“Sì, e Luciana e Alma…”
Finì che il succo di sambuco fa lasciato ai bambini e venne subito sostituito da una bottiglia di refosco e poi una di cabernet e infine da cinque caffè con grappa. Per il ritorno, ci affidammo al gippone di Franz, dato che il sentiero avrebbe potuto presentare maggiori asperità rispetto all’andata.
Giorni fa l’amico Maurizio mi ha telefonato dicendomi che gli avrebbe fatto piacere se avessi scritto qualcosa per Innovalp.Tv che tratta di luoghi e genti di montagna. Ci ho pensato e mi sono ricordato di quella giornata alla Malga Priu, quasi ventidue anni fa. Per curiosità, ho inserito su google una ricerca, scrivendoci il cognome di Franz e le parole transports e Luxembourg. Mi è uscito il profilo dell’azienda da lui fondata nel 1974, che rimane a gestione familiare e attualmente trasporta un volume mensile di 25.000 tonnellate e si è ingrandita con edifici rinnovati di 12.000 metri quadri. La società è gestita dai figli Manuel e Philippe e “Monsieur François reste présente au sein de l’entreprise à titre de conseiller technique”.
Giuseppe Mariuz
San Vito al Tagliamento
9 Aprile 2021