Italia: quando l’innovazione viene dai margini.
Una fotografia delle disuguaglianze di istruzione nelle aree interne e l’impegno della Strategia Nazionale per le Aree interne e d’intesa con il MIUR per colmarle.
Di Daniela Luisi
La scelta di “restare o andare”, in aree interne, è spesso dettata dalla presenza di una buona offerta scolastica, sia essa distribuita sul territorio oppure concentrata in poli scolastici innovativi. Pluriclassi, risultati delle prove Invalsi non eccelsi, turn over elevato dei docenti, dimensionamento della rete scolastica, sono le problematiche più diffuse nelle scuole delle aree interne che, come si può facilmente immaginare, sono “piccole” scuole. E i piccoli numeri, si sa, pongono scelte di carattere didattico, pedagogico e organizzativo (unificare plessi, oppure investire in scuole nuove).
Il “disagio educativo” di partenza in aree interne è sintetizzabile non solo nella frammentazione ma anche nell’offerta di servizi educativi. Non tutte le scuole, per esempio, hanno il tempo prolungato; ci sono problemi legati alla qualità dei docenti, all’offerta di indirizzi, all’innovazione della didattica, al turn over dei docenti, all’assenza di luoghi di socializzazione e scambio, alla mobilità degli studenti e all’offerta di un trasporto pubblico locale, flessibile e continuativo (non solo durante il periodo scolastico).
Se è vero che l’istruzione resta uno dei principali ascensori sociali e troppo spesso i percorsi educativi sono condizionati dalle origini sociali e familiari, e se è vero che il “nuovo mondo digitale” impone di ripensare profondamente contenuti e pratiche dei processi educativi, nelle scuole delle aree interne queste determinanti sono ulteriormente condizionate dalla dimensione di luogo (la distanza e l’essere margine) che incide sull’equità dell’offerta scolastica e sulle scelte degli studenti e delle loro famiglie.
Vediamo un po’ di dati. Il numero medio di alunni nella scuola primaria delle aree interne del Paese è pari a 113 (165 in Italia), e nella secondaria di I grado è di 128 (214 in Italia). La percentuale di classi con meno di 15 alunni nella scuola primaria è del 36,8% nei comuni aree interne (il valore più alto, pari al 96,4%, lo troviamo nell’area Montagna Materana in Basilicata) (figura 1), mentre nella secondaria di I grado la percentuale di piccole classi è del 21,6% (l’area Basso Sangro-Trigno, in Abruzzo, ha il valore più alto, pari al 93,3% – 9,7% è il valore medio nazionale).
Non sempre la presenza di piccole classi (parliamo di classi con meno di 15 alunni) coincide con la presenza di pluriclassi, ovvero classi in cui studiano insieme bambini di diverse fasce d’età. È il caso, per esempio, dell’area Antola Tigullio (in Liguria), dove la percentuale di classi con meno di 15 alunni nella scuola primaria è dell’86% e la percentuale di pluriclassi è pari a zero. È molto più rilevante, invece, il cosiddetto ‘fenomeno delle pluriclassi’: evidenza dell’essere margine (in aree interne “non ci sono i numeri” per formare mono-classi) e pietra angolare del subire o superare una marginalità.
La presenza di pluriclassi nei comuni aree interne ha un valore medio pari al 3,8% (vs 1,2% valore medio nazionale), con una elevata variabilità nelle 72 aree progetto della Strategia Nazionale per le Aree Interne. Si va dal 60% di pluriclassi in Grand-Paradis (Valle d’Aosta), fino al 50% in Valle Ossola (Piemonte), al 40% in Valle Subequana (Abruzzo) e in Alta Carnia (Friuli-Venezia Giulia), al 37,5% in Alta Valle Arroscia (Liguria) e al 34,1% in Valle Bormida (Piemonte).
Figura 1. Percentuale di classi con numero di alunni fino a 15 nella scuola primaria. Anno scolastico 2016-2017
Fonte: elaborazioni Save the Children, su dati Comitato Tecnico Aree Interne
Le pluriclassi sono da molti considerate una ‘aberrazione della didattica’ perché in classi in cui convivono bambini di età diversa, oltre all’apprendimento, sarebbero ridotte le opportunità di socializzazione. Tuttavia, studi e approcci pedagogici individuano nella pluriclasse, così come nelle piccole classi, un contesto di apprendimento per sperimentare metodi innovativi di insegnamento. Per garantire qualità dell’offerta ed equità di trattamento, nelle “pluriclassi per scelta” si sperimentano modalità didattiche centrate sul metodo della ricerca-azione e della peer education, o sul modello dell’apprendimento cooperativo e dell’autonomia dello studente (si veda, a riguardo, il progetto di ricerca Piccole Scuole promosso dall’INDIRE).
È vero, inoltre, che nelle scuole delle aree interne è difficile garantire il corretto funzionamento del ‘tempo scuola’. Ecco quindi che la percentuale di classi a tempo pieno nella scuola primaria è molto bassa: in meno della metà delle aree progetto della SNAI la percentuale di classi a tempo pieno è tra il 30% e il 60%, mentre in un terzo delle aree SNAI è inferiore al 10%. Parliamo di 24 aree progetto, da Nord a Sud, in cui la percentuale di classi della scuola primaria che offre il tempo pieno è drammaticamente al di sotto del valore medio nazionale (33,5%) e del valore medio dei comuni aree interne (25,9%). Di queste aree, 11 non offrono il tempo pieno in nessuna classe della scuola primaria, come l’area Matese in Molise; l’area Antola Tigullio in Liguria; l’area Valle Bormida in Piemonte.
Nella scuola secondaria di primo grado i dati non migliorano: sono 16 le aree in cui il tempo prolungato non è presente in nessuna classe, e solo 4 le aree dove tutte le classi hanno il tempo prolungato. Il turn over dei docenti rappresenta anch’esso un indicatore della fragilità dell’offerta educativa delle aree interne e della poca attrazione che queste aree hanno per i docenti. Nella scuola secondaria di primo grado si registrano i valori medi più alti di mobilità dei docenti a tempo indeterminato, ‘equamente’ distribuiti sul territorio nazionale (7% è il valore medio nazionale e 9% il valore medio delle aree interne del Paese). Si pensi al 33,3% dell’area Montagna materana, dove anche il tasso di mobilità dei docenti nella scuola secondaria di secondo grado ha un valore doppio (16%) rispetto alla media nazionale e alla media aree interne, o al 23% delle Dolomiti friulane (Friuli-Venezia Giulia), dove il tasso di mobilità dei docenti a tempo indeterminato nella scuola primaria ha un valore doppio (8,7%) rispetto al valore medio nazionale e aree interne (3,8% e 3,9%), mentre nella scuola secondaria superiore è pari a zero (figura 2).
Figura 2. Tasso di mobilità dei docenti a tempo indeterminato nella scuola secondaria di primo grado. Anno scolastico 2016-2017
Fonte: elaborazioni Save the Children, su dati Comitato Tecnico Aree Interne
Si tratta di una variabilità e di una diversità, tra aree e all’interno delle stesse aree, riconducibile alla distanza geografica ma, soprattutto, alla scarsa attenzione dei decisori pubblici. Partendo dal riconoscimento delle disuguaglianze la buona notizia è che la SNAI, d’intesa con il Miur, dal 2014 sta colmando l’assenza di politiche in aree considerate a lungo marginali.
È un percorso che necessita di momenti di ascolto e di co-progettazione, ma anche di accompagnamento istituzionale e tecnico da parte di operatori culturali/centri di competenza (anche esterni), oltre che delle strutture amministrative e di governo, nazionali, regionali e locali.
* Si ringrazia Daniela Luisi, autrice del pezzo. Dottore di ricerca in Sistemi sociali, organizzazione e Analisi delle politiche pubbliche, ha maturato diverse esperienze di ricerca presso Università italiane e in progetti europei di cooperazione istituzionale. Si occupa di sviluppo locale, processi partecipati nella costruzione e attuazione di politiche territoriali, metodi di analisi e valutazione delle politiche pubbliche. Ha lavorato come progettista per la Strategia Nazionale Aree Interne (Dipartimento per le Politiche di Coesione – Presidenza del Consiglio dei Ministri).